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Il Cammino di Francesco – Assisi e dintorni

Quando ho deciso di partire per un Cammino avevo inizialmente in mente Santiago. Il classico Cammino. Poi vuoi per le incertezze del meteo, vuoi perché volevo prima tentarmela in Italia ho iniziato a cercare tra i cammini della penisola. Non avevo mai fatto nulla di simile. Amo camminare. Questo è vero, ma non ero neanche sicura di farcela. Tra le varie opzioni del Web mi ha colpito la possibilità di fare il Cammino di San Francesco. Un personaggio della cui spiritualità ero incuriosita. Quindi perché no, inoltre mi dicevo, se dovessi non farcela posso sempre prendere un  bus e rientrare facilmente.

Quindi comunico che vado, Io Daniela vado. Questa diventerà una delle espressioni che mi identificherà di più nel corso del camminare. Perché il cammino è individuale. Puoi partire da solo ma anche con un gruppo di amici, però ad ogni singolo passo sei solo.

Con le tue responsabilità, il peso del tuo zaino, la fame, la sete e la voglia di arrivare. E solo con i tuoi pensieri, che sono la è parte più importante del cammino. Qualcuno mi ha detto che il peso dello zaino (ovvero delle cose che tenti di portarti dietro) è il peso della tua paura. Sarà per questo che parti con lo zaino stracarico e ti alleggerisci ad ogni tappa… La decisione di partire da sola si è diffusa a macchia d’olio e alla fine a prenotare eravamo in 13. Tredici siamo tanti per fare un Cammino tutti insieme, infatti al mattino ognuno dopo colazione faceva i conti con il proprio passo, quello del compagno, con la propria voglia di solitudine o di compagnia e si ripartiva sicuri di trovare gli altri se non altro a cena.

Il punto primo sono stati i carichi degli zaini. La legge universale del camminatore recita che puoi portare max il 10 per cento del tuo peso. Quindi le opzioni sono o ingrassare e in fretta pure oppure mettere a dieta lo zaino. Quindi la seconda. Alleggerire significa mettere due magliette ( e la terza la hai addosso), lo stesso vale per le calze e le mutande (melio in microfibra perché asciugano meglio), un paio di pantaloni (e uno addosso), e poi… quello che tu ritieni per te fondamentale. Ecco perché, io Daniela, ho deciso di portare i cosmetici solidi e una crema corpo (solida anche questa) che faceva da idratante capelli (i miei sono ricci e lunghi) idratante viso e corpo. Ho lasciato a casa inutili strumenti di bellezza, tanto non avevo alcuna intenzione di apparire, e mi sono concentrata su una fascia cromatica blu verde perché mi infastidiscono le discromie. Pronti per la partenza? Quasi. Occorreva imbarcare i bastoncini per non correre il rischio di doverli cercare all’arrivo e di fortuna. I miei sono dei vecchi Leiki che tropo molto comodi per me. Attaccati allo zaino degli spilli da balia che si sono poi rivelati utili per stendere il bucato.

Solo un quadernetto, per prendere appunti di viaggio, una penna, crema solare e burro cacao. Non ho portato farmaci né creme speciali. E in effetti o avuto la fortuna (chiamiamola così) di non doverne usare.

Considerato il periodo disponibile decido di saltare le prime due tappe, anche perché una frana aveva reso difficoltoso il superamento, e scelgo di partire da Premilcuore. Non solo, ma anche per via del nome. Ceniamo e dormiamo da Gioele a Ridolla. Sembra un posto fuori dal tempo, mangiamo, ridiamo, ci applichiamo addosso i distintivi del cammino e distribuiamo le credenziali che una di noi ha provveduto a ritirare.

Da Premilcuore a Corniolo

Si sale. Il bar del paese apre alle 6 e digeriamo subito il cornetto e il caffè. Cinguettii di uccellini allegri e alberi che ci danno il benvenuto. La paura, di cadere, di non farcela, di non vere abbastanza energia, cibo, acqua…A Corniolo ci fiondiamo da Gigino a mangiare dolci. Poi puntiamo verso il Poderone, dove ho prenotato. Quando entriamo in quella dimora fuori dal tempo e ci accoglie Lorenzina capisco perché il camminare è magico. Non l’avrei mai incontrata altrimenti. Mi godo la cena e la magia dei suoi abbracci. Assorbo il suo coraggio e a voglia di combattere. Ci offre uno spazio dove praticare Yoga e ci allunghiamo soddisfatti. Dormiamo come ghiri per poi ripartire il giorno dopo.

Da Poderone a Camaldoli

Vedo tanti cuori lungo la strada. Sono casualità o sono io che ho deciso di essere più attenta a questi segni dell’Universo? Per me è la giornata degli incontri. Nel bosco, vicino alla cascate incontro Enrico e la moglie. Che cammineranno insieme a noi fino alla sommità della montagna. Poi dovrò dopo tantissimi anni rivedere Silvia, la mia amica di gioventù, compagna di montagne e primi amori.  A Camaldoli ero stata tantissimi anni fa, la ricordavo verde, e il colore è rimasto lo stesso. Scorgiamo la comunità delle casette degli eremiti dall’alto. E poi entriamo dentro per visitarle, per la solita e strana casualità che ci porterà a scoprire luoghi e visitarne molti. Dormiremo a Camaldoli, nella Foresteria. Ceniamo insieme a tanti pellegrini.

Da Camaldoli a La Verna

Oggi la tappa è lunga e molto articolata. Decidiamo di partire all’alba e di saltare la colazione della Foresteria. Per fortuna che c’è un bar aperto che ci vende un minimo per il sostentamento. In realtà in ogni tappa abbiamo prenotato un panino o un mini pasto, per evitare l’ansia di dover cercare rifornimenti calorici. Inoltre ognuno di noi ha un proprio carico di barrette o integratori. Samo variegati. Abbiamo vegetariani, vegani, intolleranti al lattosio e …. Irriducibili della carne. E come se non bastasse anche una allergia alla rucola e una al peperoncino. Per mettere alla prova la pazienza dei locandieri. Questa tappa è in realtà il risultato della somma di due, accorpate per la solita mancanza di tempo.  E così camminiamo, quando arriviamo a metà, che sarebbe la fine della prima, siamo già stanchi. E manca ancora altrettanto. Eppure arrivare a la Verna è un pellegrinaggio mistico, è un salire, camminando nel fango, scivolare, rialzarsi. Ricadere, sudare, imprecare, piangere. Dirsi “Ma perché l’ho fatto” eppure si va avanti. E poi lassù rimani senza fiato, e senza parole. E vorresti gridare, oppure piangere, e magari le fai entrambe.

Ceniamo tra i pellegrini. Siamo stanchi. Passeggiamo nel Santuario, e cerchiamo tra le fughe delle pietre tracce della santità del Poverello.

Da La Verna a Caprese Michelangelo

A La Verna anche le preghiere hanno un’altra intonazione, quella dell’autentica spiritualità. Siamo seduti sparpagliati, sui banchi della Chiesa, ognuno con le preghiere che sente di voler fare. Facciamo una colazione ordinata, in fila e disciplinati. Per poi iniziare a camminare. Verso Caprese Michelangelo. La strada è più morbida, o almeno così mi sembra dopo le fatiche dei giorni precedenti. Il tempo ci aiuta. Ci coglie un acquazzone ma la Provvidenza ci lascia entrare in un rifugio (La Casella) dove troviamo addirittura un fuoco acceso. Ci scaldiamo, asciughiamo, e ricominciamo. La Buca di Michelangelo è una coccola. Ci facciamo viziare da gusti e sapori, piatti semplici della tradizione locale. La ricordavo così in occasione di un seminario Yoga e mi piace ritrovarla, rassicurante.

Da Caprese Michelangelo a San Sepolcro

Scendiamo a valle, passando per l’Abbazia di Badia e pensando alle lotte interne, anche tra gli ordini monastici. Tra tanta spiritualità non ci siamo accorti che è parte umana anche il lottare tra religiosi. Mentre camminiamo al sole si alterna la pioggia e a San Sepolcro arriviamo grondanti. Pernottiamo all’Enoteca Guidi, per consentire ai cultori del genere di godere anche di questi piaceri. “Sai Daniela – mi dice G. –  mi sono accorta che cammino senza pensare alla paura, non mi aspetto nulla, non ho paura di nulla. Ma perché questo non accade nella vita di tutti i giorni?” La domanda rimane nell’aria, come i soffioni che dal prato si sollevano per cercare terra fertile.

Da San Sepolcro a Città di Castello

In cammino il corpo lo senti. Non solo quando fai Yoga, in quei momenti diventa anche piacevole sentirlo allungarsi. Ma quando le scarpe premono, i vestiti infastidiscono, scorpi una irritazione, una puntura che non smette di attirare le tue attenzioni. Il corpo è prepotente e non ti lascia scampo. Ha fame, ha sete, ha continui bisogni che ti distolgono dall’andare avanti. Ci rifugiamo in centro, nell’Hotel Umbria. Bella la posizione, nessuna particolare attrattiva ma almeno è pulito, e a noi questo serve.

Da Città di Castello a Pietralunga

Usciamo dopo colazione, sul selciato trovo un bracciale che sembra una coroncina di spine, dove mi porterà questa croce che mi porto dietro? Saliamo su per l’Eremo del Buonriposo, dove Francesco si riposava. Salendo vedo una via Crucis, ne ho viste tante in vita mia. Ma questa è illuminante. E’ il nostro camminare, il cadere, lo sfiduciarci, il disperare e l’essere incoraggiati. Quanti anni ho dovuto trascorrere a vedere vie crucis per capirne l’attinenza con la mia esperienza? Frate Francesco ci accoglie, paziente custode dell’eremo. Che luce nei suoi occhi. E a noi vengono su le lacrime dalla commozione. Bisogna avere fede, fratelli e sorelle….

Dormiamo all’Hotel Candeleto. Siamo in forma e ci dedichiamo due sedute di yoga, una alla sera, prima di cena e una al mattino prima di colazione. La pratica nel corso del Cammino è un toccasana, ci aiuta ad allungare la muscolatura e a respirare la meraviglia di questi luoghi.

Da Pietralunga a Gubbio

Il cammino si fa più urbano ormai, con interi tratti asfaltati. Cerchiamo varianti per non camminare sul fondo stradale. Saliamo su un castello per visitarne le rovine. Siamo senza tempo, o meglio in una bolla di tempo nostro. Il gruppo è fluido, ci si incontra e ci si distanzia per poi ritrovarci.

C’è chi ti guarda implorante con il viso stanco e chi invece dietro una maschera di forza nasconde una pesante tristezza. Chi cammina in compagnia di amori infelici e chi piange chi non vedrà più. Ognuno ha un motivo per camminare, e sa che deve andare, andare avanti, che fermi non si sta, che se ci si ferma cala la notte e non ci si ritrova più. A Gubbio troviamo Francesco e il suo ferocissimo lupo, addomesticato dall’Amore. Ceniamo in un locale del centro, inutilmente costoso e pretenzioso. Dormiamo all’hotel Gattapone, con alcune camere molto belle altre molto meno.

Da Gubbio al Casalotto

La colazione ci rincuora ma Gubbio non ci lascia un buon sapore in bocca e andiamo subito via, accompagnati da una pioggerellina che ci fa comprare anche degli ombrelli. Molta strada asfaltata, questa tappa forse tra le meno belle. Per fortuna che arriviamo al Casalotto, uno degli alloggi più belli. Stiamo insieme, cuciniamo insieme o meglio ordiniamo delle focacce locali. E’ tutto così allegro se si sta insieme, i compagni di viaggio diventano più che amici, sono anime affini che si accarezzano lo spirito. Breve pratica Yoga, canti e scherzi, ed è già sera.

Dal Casalotto a Valfabbrica

Lungo la strada ci fermiamo a San Pietro in Vigneto, dove il volontario ci offre un caffè con la Moka, che lusso… il bello del Cammino è che quello che si da per scontato diventa preziosa gratitudine. Trovo un aculeo di istrice, sarò troppo pungente? Il Pioppo è un agriturismo con camere molto grandi, abbiamo spazio per dedicarci a noi, fare il bucato e cenare (tantissimo). Ci addormentiamo cullati dal gracidare delle ranocchie dello stagno vicino.

Da Valfabbrica ad Assisi

Ormai il gruppo ha tempi differenti, c’è chi cammina in solitaria facendo strade alternative pur non incontrare nessuno. C’è chi si affianca per tempi di cammino e per propensione al silenzio, C’è chi canta e chi racconta storielle. Ognuno con il proprio passo. Arriviamo su una collinetta. Una croce indica Assisi in lontananza. Un cumulo di pietre raccoglie i voti e le preghiere dei pellegrini. In cima alla croce, là dove era affisso Inri apendo la croce di spine che mi sono portata dietro a mò di braccialetto. Ti lascio qui, Dolore. Alle soglie di Assisi. E prego, affinchè il dolore si trasformi in Pace. A pochi chilometri Santa Maria degli Angeli. Lascio l’aculeo ai piedi di una statua di Padre Pio e mi incammino da sola verso la Basilica, che accoglie, materna, chi ha avuto forza e fede per arrivare fin lassù.

Io Daniela, sono onorata di quanto percorso.

Per me, anche questo è Yoga.

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